Analisi grammaticale

L'analisi grammaticale è la descrizione delle 9 parti del discorso e delle loro caratteristiche. Esse sono presentate sinteticamente in questa lezione.

SELEZIONA L'ARGOMENTO NELLA TABELLA QUI SOTTO

   1. ARTICOLO

5c. VERBO: forma

2. NOME

6. AVVERBIO

3. AGGETTIVO

7. CONGIUNZIONE

4. PRONOME

8. PREPOSIZIONE

5a. VERBO: tempi e modi

9. INTERIEZIONE

5b. VERBO: transitivo-intransitivo

 

 

1. ARTICOLO

È la parte variabile del discorso che si mette davanti al nome per precisare il genere e il numero (il lupo, la lupa, i lupi, le lupe). Può essere di due specie: determinativo quando indica una cosa in particolare (il lupo), indeterminativo quando è generale (un lupo). 

determinativo   maschile singolare: il, lo   femminile singolare:la
                      maschile  plurale: i, gli   femminile  plurale: le

indeterminativo  maschile singolare: un, uno femminile singolare: una

Il plurale dell'articolo indeterminativo non esiste. Si usano le preposizioni articolate dei, degli, delle per indicare nomi plurali indeterminati: (voglio delle mele; cerco dei soldi...) In questo caso le preposizioni diventano articoli; si chiamano articoli partitivi.

È bene ricordare che:

  • Si usano gli articoli lo, gli, uno davanti alle parole che iniziano con:
    • s "impura" (cioè quando è seguita da una o più consonanti): lo sport, gli sport, uno sport

    • z, lo zolfo, gli zolfi, uno zolfo
    • gn, lo gnocco, gli gnocchi, uno gnocco
    • ps, lo psicologo, gli psicologi, uno psicologo
    • pn, lo pneumatico (ma ormai prevale la forma: il pneumatico)
    • x, lo xilofono
  • L'articolo indeterminativo un non si apostrofa mai davanti a un nome maschile iniziante con vocale. Quindi: un uomo,  (mai un'uomo); e anche: nessun uomo, qualcun altro, ecc.

 

 

2. NOME

Il nome è una parola che indica qualsiasi cosa o essere vivente, reale o immaginario.

I nomi, o sostantivi, si distinguono in base: al GENERE, al NUMERO, all'ESTENSIONE, alla QUALITA' ed alla STRUTTURA

a) GENERE
i nomi italiani possono essere soltanto maschili o femminili. La maggior parte dei nomi appartiene solo a uno dei 2 generi (La casa, la città, il pane, il cielo). Altri nomi hanno sia il maschile che il femminile e spesso il passaggio da una forma all'altra è facile: basta cambiare la vocale terminale per ottenere il cambio di genere: bimbo / bimba; zio / zia, ecc. Ma lettore diventa lettrice, poeta diventa poetessa, e vigile rimane vigile. Allora è necessario esaminare alcuni gruppi di nomi particolari: 

  • ci sono nomi di genere femminile che possono essere usati anche riferiti ai maschi (spia, guida, guardia, staffetta, ecc.).
  • Soprano e contralto, invece, sono di genere maschile ma indicano qualità vocali femminili.
  • Nomi di genere promiscuo: hanno una sola forma tanto per designare il maschile quanto il femminile. In gran parte sono nomi di animali: pantera, corvo, leopardo, falco,....
  • Nomi di genere comune: sono nomi che hanno un'unica forma per il maschile e il femminile, e per distinguerli si deve guardare l'articolo: un artista, un'artista; il preside, la preside; il nipote, la nipote; un insegnante, un'insegnante; .....
  • Nomi indipendenti: sono nomi che hanno due forme nettamente diverse per i due generi: uomo/donna; maschio/femmina; marito/moglie; padre/madre; celibe/nubile; bue/mucca; montone/pecora....;
  • In genere, i nomi di professioni e titoli che finiscono in -e, fanno il femminile con -essa (dottore/dottoressa); altri nomi che, al maschile terminano con -tore, al femminile adottano -trice (scrittore/scrittrice)


b) NUMERO
I nomi possono essere al singolare (luce) o al plurale (luci). In generale la regola per la formazione del plurale è la seguente: i nomi formano il plurale con la -i, ad eccezione dei nomi femminili che terminano con -a al singolare perché formano il plurale con la desinenza -e (casa - case)

Ma ci sono alcuni gruppi di nomi particolari.

  • invariabili: sono i nomi che hanno la stessa forma sia per il singolare che per il plurale: la/le virtù, la/le analisi, il/i falò, la/le gru, il/i re, ecc.
  • difettivi: sono i nomi che mancano del singolare (nozze, viveri, pantaloni, ferie, ecc.) o del plurale (buio, fame, pepe, ecc.).
  • sovrabbondanti: sono i nomi che hanno due plurali (cuoio : cuoi, cuoia), spesso con significato diverso. Ad esempio: ciglio (cigli =  i cigli della strada; ciglia =  le ciglia degli occhi); dito (diti =  i diti indici, dita =  le dita di una mano),  osso (ossi =  gli ossi per il cane, ossa =  le ossa del corpo), ecc.

Alcuni nomi variabili formano il plurale in modo particolare:

  • Plurale dei nomi in -cia e -gia. In generale, se davanti a -cia o -gia c'è una vocale, allora il plurale conserva la i e si fa con -cie o -gie (farmacia, farmacie - valigia, valigie). Se -cia e -gia sono precedute da una consonante, la i scompare (faccia, facce - pioggia, piogge)
  • Plurale dei nomi in -io. Le parole con l'accento tonico sulla  (zìo, pigolìo, ecc.) aggiungono regolarmente al plurale la desinenza i (zii, pigolii). Quelle dove la -i non è accentata formano il plurale eliminando la -o: lo studio, gli studi - il vizio -> i vizi. La doppia i (ii) rimane solo in quei casi in cui è possibile un equivoco: principio -> principii (per distinguerlo da prìncipi, plurale di principe); omicidio -> omicidii (per distinguerlo da omicidi, plurale di omicida); arbitrio -> arbitrii (per distinguerlo da àrbitri, plurale di arbitro).
  • Plurale dei nomi in -co e -go. Non esiste una regola universale: affresco, affreschi ma anche medico, medici; borgo -> borghi ma anche psicologo, psicologi;

c) ESTENSIONE

In base a ciò che indicano i nomi possono essere comuni o propri, oppure individuali o collettivi.

Quando indicano una realtà unica, ben precisa i nomi sono propri: Italia, Marco, Roma... Se si riferiscono a cose o esseri che hanno caratteristiche comuni a più individui, sono comuni: cane (ce ne sono tanti...), casa, nazione...

I nomi collettivi indicano una realtà formata da più individui dello stesso gruppo: folla (= tante persone), foresta (=insieme di tanti alberi); quelli individuali indicano una singola realtà: aria, pane, auto...

d) QUALITA'

Il nome concreto si riferisce a realtà appartenente al mondo sensibile (si può vedere, toccare, sentire...): rumore, valle, gas.. Il nome astratto è il frutto di una astrazione, è un concetto: libertà, umanità...

Non sempre la distinzione è facile...

e) STRUTTURA

I nomi che non derivano da altri ma che, anzi vengono utilizzati per formarne altri, sono detto primitivi: sale, pasta, luce..

I nomi derivati sono invece quelli che nascono da altri nomi: sal-e --> sal-ariato e sal-ario

I nomi alterati sono quelli ottenuti con l'aggiunta di suffissi che modificano un po' il significato del nome: tazz-a, tazz-ina, tazz-ona; libr-o, libr-accio, libr-one, libr-icino...

I nomi composti sono quelli che nascono dall'unione di più parole: bianconeri, palcoscenico, pescespada...

 

 

3. AGGETTIVO

È la parte variabile del discorso che si aggiunge al nome per indicare una qualità, per caratterizzarlo o determinarlo.

L'aggettivo concorda in genere e numero con il nome al quale si riferisce (rose bianche, luna nuova...).

In base all'informazione aggiuntiva che forniscono al nome, essi si distinguono in qualificativi e determinativi

a) AGGETTIVI QUALIFICATIVI

Sono gli aggettivi che aggiungono al nome una qualità: alto, basso, simpatico, magnifico, ecc. Hanno un maschile e un femminile, un singolare e un plurale. Alcuni aggettivi hanno una sola forma per entrambi i generi (un cane docile; una cagna docile); altri hanno la stessa forma per singolare e plurale (una perla rosa, due perle rosa); gli aggettivi invariabili hanno addirittura una sola forma sia per i due generi che per i due numeri (la camicia marrone, il fiore marrone, le porte marrone, gli astucci  marrone).
Un aggettivo qualificativo può essere usato con tre diverse gradazioni; può essere di grado positivo, comparativo o superlativo.

  • Positivo: un aggettivo è di grado positivo quando esprime soltanto una qualità, senza metterla a confronto con nessun altro termine: Il cielo è sereno.
  • Comparativo: un aggettivo è di grado comparativo quando esprime una qualità stabilendo un paragone, un confronto con un altro termine.
    •  Può essere di: maggioranza (Marco è più alto di Gianni); minoranza (Marco è meno giovane di Gianni); uguaglianza (Marco è giovane come (quanto) Gianni).
  • Superlativo: un aggettivo è di grado superlativo quando esprime una qualità spinta al massimo grado, sia in senso positivo che negativo. Può essere:
    • Assoluto: quando esprime il grado massimo senza alcun paragone, e si ottiene aggiungendo il suffisso -issimo all'aggettivo (Gianni è brav-issimo). Ci sono alcune eccezioni che vogliono il suffisso -errimo (celeberrimo, acerrimo, miserrimo, ecc);
    • Relativo: quando esprime il grado massimo di qualità ma attraverso un confronto. Può a sua volta essere di: maggioranza (Gianni è il più gentile dei maschi); minoranza (Gianni è il meno gentile dei maschi).


b) AGGETTIVI DETERMINATIVI

Gli aggettivi determinativi aggiungono al nome una particolare determinazione o specificazione o precisazione. Ce ne sono di 5 tipi: possessivi, dimostrativi, numerali, indefiniti e interrogativi/esclamativi.

  • possessivi: indicano il possesso di ciò che è espresso col nome; mio, tuo, suo, nostro, vostro, loro; altrui, proprio;
  • dimostrativi (detti anche indicativi): determinano dove si trova la cosa indicata dal nome in rapporto a chi parla: questo, quello; codesto; ma anche: stesso, medesimo; tale, quale, siffatto, certo...;
  • i numerali si distinguono in:
    • cardinali che indicano una quantità precisa di persone o cose: uno, sette, dieci, centocinque, mille.....;
    • ordinali che indicano l'ordine di successione: primo, terzo, centotrentunesimo.....;
    • altri aggettivi numerali sono i moltiplicativi: doppio, triplo...; e i frazionari: due terzi, cinque ottavi.....
  • indefiniti: indicano una quantità indefinita di persone o cose: alcuno, altro, qualsiasi, qualunque, alquanto, altrettanto, molto, poco, tanto, parecchio, troppo, tutto, ciascuno, nessuno, ogni,....
  • interrogativi/esclamativi: introducono la domanda o l'esclamazione legata al nome al quale si riferiscono; quale film hai visto? Quanti soldi hai speso? Che ragazza!

 

 

4. PRONOME

È la parte variabile del discorso che si usa per sostituire un nome (o altro). I pronomi possono essere: 1) Personali; 2) Possessivi; 3) Dimostrativi; 4) Relativi; 5) Indefiniti

1) Personali

Sono i pronomi che si usano invece del nome, proprio o comune, di persona. Possono avere valore di soggetto o complemento, possono cioè indicare: a) la persona che parla; b) la persona a cui si parla; c) la persona di cui si parla.

soggetto    complemento
io me, mi
tu te, ti
egli, esso lui, lo, gli, sé, si
ella, lei lei, la, le, sé, si
noi noi, ce, ci
voi voi, ve, vi
essi loro, li, sé, si
esse loro, le, sé, si


i

 

 

 

 

 

 

 

 

Esaminiamo ora alcune particolarità dei pronomi personali.

  • Io e tu si usano come soggetto, quindi: Tu parli con Maria? (NON: Te parli con Maria?); me e te invece quando si usano come complemento oggetto si uniscono al verbo senza preposizione (Vogliono me, NON: Vogliono a me).
  • Gli significa "a lui", ma oggi si usa spesso anche nel senso di "a loro" (Se ti parlano non gli rispondere), ma è preferibile usare loro (Parlò coi suoi amici e chiese loro se avevano incontrato Maria). È un grave errore usare gli al posto di le (A Giulia piace la danza? No, non le piace - guai a dire: No, non gli piace!)
  • Gli accoppiato alle particelle lo, la, le, li, ne dà origine a: glielo, gliela, gliele, glieli, gliene.
  • si scrive con l'accento per distinguerlo da se congiunzione.
  • La particella pronominali ne significa: di lui, di lei, di loro, di questo, di ciò.


2) Possessivi

Sono i pronomi che indicano proprietà, possesso; e sono gli stessi aggettivi possessivi: mio, tuo, suo, nostro, vostro, loro, altri, proprio, usati però invece del nome. Esempio: Dammi il mio libro (qui mio è aggettivo possessivo perché specifica una caratteristica del libro); Prendi il tuo libro e dammi il mio (qui mio è pronome perché sta al posto del sostantivo libro). 
 

3) Dimostrativi

Sono i pronomi che mostrano, indicano una persona o una cosa: questo, codesto, quello; stesso, medesimo; tale, quale; siffatto; questi, quegli (in funzione di soggetto e riferiti a persona: questi mi piace,quegli no); costui, costei, costoro; colui, colei, coloro; lo (in funzione di complemento oggetto: Tu non sei lo stesso di una volta); ne (nei complementi di specificazione: Ne vuoi ancora?); ci (nei complementi di termine: Non ci badare; Non farci caso). 
 

4) Relativi

Sono i pronomi che mettono in relazione fra loro due proposizioni: il quale (e: i quali, la quale, le quali), che, chi, cui. È bene ricordare che: 

  • Che, chi, quale, quando vengono usati nelle interrogazioni (dirette e indirette) e nelle esclamazioni al posto del nome diventano pronomi interrogativi ed esclamativi (Chi dubita di me? Che volete dire? Vorrei sapere quali preferisci. Chi si vede!
  • Che si usa sempre con valore di soggetto (L'uomo che ti parla) o di complemento oggetto (Il libro che hai letto). È sostituito da cui negli altri complementi, ma può essere usato, in questi casi, quando assume il valore di: ciò, la qual cosa (Mario disse una cosa, al che io risposi...) o allorché ha valore di quando (L'anno che nacque Leopardi = L'anno in cui nacque Leopardi
  • Cui si usa sempre con valore di complemento (Il libro di cui ti ho parlato). Inoltre: 
    • nel complemento di termine, cioè nella forma: a cui, la a si può tralasciare (La persona cuimi rivolsi = La persona a cui mi rivolsi); 
    • nel complemento di specificazione, cioè nella forma: di cui, il di si tralascia quando lo facciamo precedere dall'articolo (Questo è il ragazzo il cui padre..., NON: Questo è il ragazzo il di cui padre...); 
    • è errato usare cui nel significato di che, la qual cosa, formando il costrutto: per cui (Era stato promosso e per questo era contento, NON: Era stato promosso per cui era contento).


5) Indefiniti

Sono i pronomi che indicano persone o cose in maniera indefinita, indeterminata. Sono in gran parte aggettivi indefiniti usati al posto del nome:

Aggettivo    Pronome
alcuni alberi    alcuni ridono
gli altri libri    dillo agli altri
molti quaderni     ce ne sono molti
nessun uomo        non vedo nessuno

A questi possiamo aggiungere: uno, qualunque, ognuno, certuni, chiunque, altri (Altri penserà che io non dica il vero), niente (Niente lo commuove), nulla (Non me ne importa nulla).

 

 

5. VERBO

È la parte variabile del discorso che esprime un agire nel tempo, o un subire, ma anche un modo di essere o una situazione.


a) TEMPI E MODI VERBALI

Il verbo è la parte più "flessibile" del linguaggio. Infatti deve esprimere tanti modi diversi di agire e tante situazioni. Una parte del verbo, la prima, resta però sempre uguale (è la radice); a cambiare è la seconda parte (la desinenza). Es: Cantare: Cant = radice, are = desinenza.

La desinenza può cambiare in base a 4 variabili. Esse sono:

  1. la PERSONA: La prima persona indica chi parla (io, noi); la seconda persona a chi si parla (tu, voi); la terza persona di chi si parla (egli, loro).
  2. il NUMERO: Può essere singolare (io, tu, egli) o plurale (noi, voi, essi).
  3. il TEMPO: Indica il tempo passato, presente o futuro in cui l'azione è accaduta, accade o accadrà. Ci sono tempi semplici e composti.
    • I tempi semplici sono quelli formati solo da una sola parola, la voce verbale.
    • I tempi composti sono quelli formati con l'"ausilio", l'aiuto, degli ausiliari essere o avere, più il participio passato del verbo.
  4. il MODO: Indica la maniera, il "modo", il punto di vista in cui l'azione del verbo viene espressa. Ci sono quattro modi finiti, cioè che esprimono l'azione in maniera determinata, indicando numero e persona: indicativo, congiuntivo, condizionale, imperativo; e tre modi indefiniti, cioè che esprimono l'azione senza distinguere la persona: infinito, participio, gerundio.
     
    • I 4 modi finiti:
      • Indicativo: è il modo della certezza: Parlo con Luca (= è certo che ci parlo);
      • Congiuntivo: è il modo della probabilità: Penso che lui voglia un gelato (= probabilmente lui vuole un gelato, ma non è sicuro);
      • Condizionale: il modo indica che un'azione si verfica a una condizione, cioè solo se succede qualcos'altro  : Se tu mangiassi di più, saresti meno magro (= sarai meno magro solo SE mangerai di più);
      • Imperativo: è il modo che si usa per dare un ordine, o per esortare, minacciare, pregare... : Alzati!; Sii gentile..; Per piacere, non parlate.... Ha solo la 2° persona singolare e plurale, perché un comando può essere dato solo ad altri. Tuttavia può esserci un imperativo nella 1° persona plurale: Ora, partiamo!. Alla 3a persona non ci si rivolge con ordini ma con desideri, perciò non si usa l'imperativo ma il congiuntivo: Cerchi nell'altra stanza, per favore;
    • I 3 modi Indefiniti
      • Infinito: è il modo che esprime il significato in maniera generica, senza specificare né il numero né la persona: cantare; ballare...
      • Participio: è detto così perché è partecipe di più realtà grammaticali, insomma ha una doppia natura. Il verbo al modo participio è sia verbo che aggettivo o sostantivo.
        •  Il participio passato è molto usato e può avere la triplice funzione di verbo, aggettivo, nome: Ho rotto il computer (verbo); Ho trovato solo rane morte (aggettivo); Il morto aveva gli occhi aperti (nome). Il participio passato, unito al verbo ausiliare forma i tempi composti.
        • Il participio presente è usato soprattutto per formare aggettivi (luna calante, luna crescente) e, più raramente, nomi (ente - dal verbo essere -).
      • Gerundio: è il modo che esprime l'azione come riferita a un'altra azione, espressa o sottintesa: Sbagliando (presente) s'impara; Avendo mangiato (passato) troppo, mi sentii male. Anche il gerundio, come il participio, può usarsi "assolutamente": Tempo permettendo, partirò.

Tutti i verbi della lingua italiana sono suddivisi in tre coniugazioni sulla base della desinenza dell'infinito presente: -are = 1a coniugazione; -ere = 2a coniugazione; -ire = 3a coniugazione. Vediamo ora le particolarità di ciascuna coniugazione. 

1a coniugazione

  • I verbi con l'infinito in -care e -gare per mantenere alla c e alla g il suono gutturale, cioè duro, mettono una h davanti alla desinenza che inizia per i o e: mancare => mancherò; pagare => pagherete, paghino.
  • I verbi con l'infinito in -ciare, -giare, -sciare, perdono la i della radice quando questa viene a trovarsi davanti a desinenze che iniziano con e o con i, e questo perché la i di -ciare, -giare, -sciare è un puro segno ortografico per dare alla c e alla g della radice il suono palatale. Perciò: baciare=>bacio, baciarono, ma:bacerete, NON: bacierete; mangiare=>mangio, mangiano, ma: mangereste, e NON: mangiereste; lasciare=>lascio, lasciate, ma: lascerai, e NON: lascierai.
  • I verbi con l'infinito in -gliare perdono la i della radice (vegli-are, sbagli-are) davanti alle desinenze inizianti con i. Perciò: sbagliare=>sbagl-iamo, NON: sbagli-iamo; vegliare=>vegl-iamo, NON: vegli-iamo.
  • I verbi con l'infinito in -gnare conservano la i della desinenza in -iamo e -iate. Perciò: noi sogn-iamo, che noi sogn-iamo, che voi sogn-iate.
  • I verbi con la 1a persona singolare dell'indicativo presente in -ìo (cioè con la i tonica, ad es.: io avvio) conservano sempre la i della radice anche quando questa perde l'accento: avviare => avvio, avviano, avvieranno, ecc. La perdono invece sempre davanti alle desinenze inizianti con i, quando la i della radice non è accentata: voi avvi-ate, ma:che voi avv-iate.
  • I verbi con la 1a persona singolare dell'indicativo presente in -io (cioè con la i àtona, ad es.: io graffio) perdono sempre la i della radice davanti a desinenze inizianti con i:io graffi-o, ma: che essi graff-ino;io studi-o, ma: che essi stud-ino.

2a coniugazione

  • I verbi con l'infinito in -cere e -gere, davanti alle desinenze con a o con o cambiano la c e la g dolce in gutturale: tu vinci, noi vinceremo, ma: io vinco, che tu vinca; tu spingi, noi spingiamo, ma: io spingo, che tu spinga. Fanno eccezione i verbi cuocere e nuocere che conservano sempre la i palatale: io cuocio, che tu cuocia.
  • I verbi con l'infinito in -gnere (così come quelli della 1a coniugazione in -gnare) conservano la i della desinenza in -iamo e -iate: noi spegn-iamo, che noi spegn-iamo, che voi spegn-iate.

3a coniugazione

  • Molti verbi di questa coniugazione inseriscono tra la radice e la desinenza della 1a, 2a e 3a persona singolare e della 3a plurale del presente indicativo, congiuntivo e imperativo, il gruppo -isc (ardire=>ard-isc-o, ard-isc-i, ard-isc-ono). Alcuni verbi hanno entrambe le forme: aborro / aborrisco; inghiotto / inghiottisco, ecc.
  • Alcuni verbi di questa coniugazione hanno un doppio participio presente: in -ente e in -iente: dormente / dormiente, ecc.

b) VERBI TRANSITIVI, VERBI INTRANSITIVI

Dal punto di vista del significato i verbi possono essere 1) transitivi o 2) intransitivi

1) Verbi transitivi

Sono verbi che esprimono un'azione che passa direttamente dal soggetto all'oggetto: Marco (soggetto) legge (verbo transitivo) un libro (complemento oggetto). Il complemento oggetto a volte può mancare ma il verbo rimane transitivo: Mario legge. Un verbo transitivo può essere: attivo, passivo, riflessivo.

  • Il verbo è attivo quando il soggetto "agisce", compie l'azione: Luigi ama.
  • Il verbo è passivo quando il soggetto "patisce", subisce l'azione: Luigi è amato. Un verbo attivo si può rendere passivo in due modi:
    • mettendo prima del participio passato del verbo le voci dell'ausiliare essere (o, qualche volta, venire): Io amo (attivo) => Io sono amato (passivo); Io lodo => Io sono o Io vengo lodato;
    • mettendo prima del verbo (ma solo nella terza persona singolare e plurale) la particella pronominale si: Da parte di tutti si biasima (cioè: è biasimata, viene biasimata) la tua negligenza. In questo caso il si prende il nome di "particella passivante".
      Ogni proposizione attiva può trasformarsi in passiva tramutando l'oggetto in soggetto: Carlo ama Maria (forma attiva) => Maria è amata da Carlo (forma passiva); e viceversa naturalmente.
  • Il verbo è riflessivo quando l'azione compiuta dal soggetto si "riflette", cioè ricade, sul soggetto stesso: Luigi si loda (cioè: Luigi loda se stesso). La forma riflessiva di un verbo transitivo si ottiene mettendo prima del verbo le particelle pronominali mi, ti, si, ci vi, si, con funzione di complemento oggetto: 

attiva
io lavo
tu lavi
egli lava

passiva
io mi lavo (=io lavo me)
tu ti lavi (=tu lavi te)
egli si lava (=egli lava sé)

Le particelle pronominali si mettono invece dopo, fondendole col verbo, nell'imperativo presente (làvati), nel gerundio (lavandoti), nell'infinito (lavarti).
Si dice, inoltre, riflessiva apparente quella forma in cui le particelle mi, ti, si, ecc. non hanno funzione di complemento oggetto ma di complemento di termine, non hanno cioè il valore di: me, te, sé, ecc. ma di: a me, a te, a sé, ecc. Ad esempio:

    • Io mi lavo: qui mi ha valore d'oggetto (=io lavo me) e la forma è riflessiva;
    • Io mi lavo le mani: qui mi ha valore di complemento di termine (=io lavo le mani a me) e la forma è riflessiva apparente.

2) Verbi intransitivi

Sono quelli che esprimono un'azione che non passa a un oggetto ma resta ferma nel soggetto: Mario corre; Il sole brilla; Il cane abbaia. È bene ricordare che:

  • i verbi intransitivi hanno solo la forma attiva;
  • alcuni verbi di natura intransitiva possono assumere anche un valore transitivo: Carla piange (intr.) / Carla piange lacrime amare (trans.);
  • alcuni verbi intransitivi, pur essendo accompagnati dalle particelle pronominali mi, ti, si, ecc., non sono riflessivi: si dicono intransitivi pronominali (vergognarsi, pentirsi, lamentarsi, accorgersi, ecc.). Perciò le frasi: Io mi vergogno, Tu ti lamenti, Egli si adira, ecc. non sono riflessive ma intransitive pronominali. Per poter distinguere con certezza una forma riflessiva da una pronominale basta tener presente che nella forma riflessiva le particelle mi, ti, si, ecc., si possono sostituire con i pronomi me, te, se, ecc., cosa che non è invece possibile nella forma intransitiva pronominale. Così, ad esempio, se diciamo: Io mi bagno, possiamo trasformare la frase in: Io bagno me; se invece diciamo: Io mi vergogno, non posso trasformarla in: Io vergogno me, e si tratta quindi di una forma intransitiva pronominale.

Una speciale categoria di intransitivi, infine, è quella dei cosiddetti verbi impersonali, che indicano condizioni atmosferiche, e che si usano prevalentemente alla 3a persona singolare: annotta, albeggiava, piove, nevicherà, ecc. Ma possono essere usati impersonalmente anche altri verbi (come: accadere, succedere, bastare, bisognare, occorrere, importare, parere, ecc.) unendoli alle particelle pronominali mi, ti, si, ci, vi, gli, le. Es.: Mi succede ogni giorno; Non bisogna farlo; Non gli importa nulla. Ci sono infine verbi impersonali che possono, in certi casi, divenire personali: Fioccano quattrini; Piovono legnate; Tuona il cannone  


c) FORMA VERBALE

Abbiamo già visto che il verbo è costituito da due parti: una, immutabile, che si chiama radice; e una che cambia secondo i modi, i tempi, le persone e i numeri, e si chiama desinenza. I verbi che rispettano questo schema si dicono regolari, e sono la maggioranza; ma ci sono anche verbi che si discostano da questa norma e sono detti irregolari

Verbi regolari

Caratteristica di questi verbi è che nel passato remoto e al participio passato l'accento tonico non cade sulla radice ma sulla desinenza: am-ài, cred-èi (o cred-ètti), serv-ìi; am-àto, cred-ùto, serv-ìto

Verbi irregolari

Si dividono in 3 gruppi:

  1. forti: sono irregolari solo nel passato remoto (1a e 3a persona singolare e 3a plurale) e nel participio passato. Appartengono quasi tutti alla 2a coniugazione. Es.:
    ardere: io arsi, egli arse, essi arsero; participio passato: arso;
    dividere: io divisi, egli divise, essi divisero; participio passato: diviso;
    mettere: io misi, egli mise, essi misero; participio passato: messo;
    nascondere: io nascosi, egli nascose, essi nascosero; participio passato: nascosto; ecc.
  2. anomali: traggono le loro forme verbali da temi diversi o alterati dalla coniugazione. Es.: andare: io vado; dare: io diedi; cadere: io cadrei; sedere: io mi siedo, o: io mi seggo; potere: io posso, io potrò; dovere:io devo, o: io debbo; cuocere: cotto; morire: io muoio; salire: io salgo; ecc.
  3. difettivi: "difettano", cioè mancano di alcune forme nelle persone, nei modi, nei tempi. Es.: competere (non ha participio passato e quindi manca di tutti i tempi composti); solere; ecc.

Ricordiamo infine cinque verbi che possono essere usati in modo particolare: due Ausiliari e tre Servili

Ausiliari: si dicono "ausiliari" i verbi essere e avere quando aiutano gli altri verbi a formare i tempi composti: Ho mangiato un panino; Sono andato a casa. Vogliono l'ausiliare avere i verbi transitivi attivi (Ho mangiato una mela, Lo avevo visto); vogliono l'ausiliare essere i verbi nella forma passiva (Io sono amato; Siamo stati serviti subito). I verbi intransitivi possono avere l'uno o l'altro ausiliare. I verbi che indicano le condizioni atmosferiche richiedono in genere essere (È piovuto) ma possono concordare anche con avere (Ha appena smesso di piovere). 

Servili: sono detti così i tre verbi: dovere, potere, volere quando sono usati al servizio dell'infinito di un altro verbo: Devo andare; Non posso dormire; Voglio mangiare. Attenzione: nei tempi composti i verbi servili vogliono, di regola, l'ausiliare del verbo che essi "servono": Sono dovuto andare (perché: sono andato); Saresti potuto venire (perché: sono venuto); Abbiamo voluto dirtelo (perché: abbiamo detto).

 

 

6. AVVERBIO

È quella parte del discorso che si unisce al verbo, ma anche all'aggettivo, al nome o ad un altro avverbio, per modificarne, graduarne, completarne, precisarne l'azione o il significato. Si possono classificare gli avverbi in 8 gruppi. 

  1. di modo o maniera: rispondono alla domanda sottintesa: "come?". Sono: 
    • gli avverbi in -mente, formati dalla fusione di un aggettivo con l'ablativo latino mente (=con mente). Es.: celermente, dal latino celeri mente, alla lettera: "con mente celere". E così: distrattamente, lentamente, veramente, ecc.; 
    • gli avverbi formati da un aggettivo invariabile: forte, piano, giusto, certo, ecc. 
    • gli avverbi di derivazione latina: bene, male, ecc.; 
    • gli avverbi derivati da forme verbali o da nomi, col suffisso -oni: bocconi, ruzzoloni, carponi, tastoni, cavalcioni, ecc. 
  1. di tempo: rispondono alla domanda sottintesa: "quando?". Sono: ora, adesso, allora, ancora, prima, dopo, oggi, domani, spesso, mai, sempre, presto, tardi, ecc. 
  2. di luogo: rispondono alla domanda sottintesa: "dove, da dove?". Sono: dove, donde, sopra, sotto, vicino, lontano; qui, qua, quaggiù, quassù; lì, là, laggiù, lassù; ecc. 
  3. di quantità`: rispondono alla domanda sottintesa: "quanto?". Sono: molto, assai, poco, troppo, parecchio, abbastanza, niente, circa, appena, ecc. 
  4. di affermazione: rispondono alla domanda sottintesa: "veramente?". Sono: sì, già , certo, appunto, sicuro, sissignore, proprio, ecc. 
  5. di negazione: rispondono alla domanda sottintesa: "veramente?". Sono: no, non, né, neppure, nemmeno, neanche, nossignore, ecc. 
  6. di dubbio: rispondono alla domanda sottintesa: "davvero?". Sono: forse, probabilmente, semmai, ecc. 
  7. aggiuntivi: si dicono "aggiuntivi" perché aggiungono qualcosa al valore dell'azione. Sono: anche, ancora, altresì, pure, perfino, finanche, ecc.

Ci sono poi i modi avverbiali e le locuzioni avverbiali, che sono espressioni variabili formate: 

  • da due avverbi: or ora, pian piano, adagio adagio, ecc.
  • da due sostantivi: man mano, passo passo, terra terra, ecc.
  • da una preposizione + avverbio, aggettivo o sostantivo:
    • a + ... : a poco a poco, a vicenda, a ufo, a gara, a malapena, ecc.
    • di + ... : di corsa, di soppiatto, di palo in frasca, di nascosto, ecc.
    • in + ... : in bilico, in panciolle, in un batter d'occhio, in carne e ossa, ecc.
    • per + ... : per caso, per davvero, per certo, per tempo, ecc.

 

 

7. CONGIUNZIONE

È la parte invariabile del discorso che serve a congiungere fra loro gli elementi di una stessa proposizione (Giulio e Carlo vanno a scuola) o due proposizioni (Giulio va a scuola e Carlo rimane a casa). Le congiunzioni si possono classificare in: COORDINATIVE, SUBORDINATIVE, CORRELATIVE. 

COORDINATIVE

Congiungono due proposizioni simili o due parti simili della stessa proposizione. Si suddividono a loro volta in:

  • copulative: uniscono fra loro due o più termini: e (affermativa); , neppure, neanche, nemmeno (negative).
  • disgiuntive: separano gli elementi della proposizione mettendoli a volte in contrasto: o, oppure, ovvero
  • avversative: uniscono due termini opposti: ma, però, tuttavia, peraltro, eppure, pure
  • dimostrative: dimostrano, spiegano, dichiarano meglio un concetto: cioè, infatti, ossia, vale a dire
  • conclusive: uniscono due termini si cui il secondo è la conclusione del primo: dunque, quindi, pertanto, ebbene, allora.


SUBORDINATIVE

Congiungono una proposizione principale a una subordinata. Es.: Ti loderei (princ.) se tu lo meritassi (subord.); Poiché non mi stimi (subord.) preferisco rompere l'amicizia (princ.). Si suddividono in: 

  • dichiarative: servono a dichiarare, spiegare: come (Mi disse come aveva fatto), che (È meglio che tu vada a casa). Ma attenzione: Il libroche (= pronome) hai letto
  • temporali. Servono a esprimere un rapporto di tempo: quando, come, appena, mentre, finché, ecc. 
  • causali: servono a esprimere un rapporto di causa: perché, poiché, giacché, siccome, dal momento che, ecc. 
  • finali: servono ad esprimere un rapporto di fine: affinché, perché. Attenzione: Mi allontano perché(= causale) non mi piaci; ma: Te lo dico perché (= finale) tu ne tragga profitto
  • condizionali: servono ad esprimere un rapporto di condizione: se, perché, qualora, quando. Attenzione: Quando (= condizionale) uno è onesto non deve temere nulla; ma: Vieni quando (= temporale) vuoi
  • modali: servono ad esprimere un rapporto di modo, o di maniere: come, come se, siccome, comunque, quasi, ecc. Attenzione: Fa' come (= modale) ti pare; ma: Mi raccontò come (= dichiarativa) fosse stato salvato
  • consecutive: servono ad esprimere un rapporto di conseguenza: cosicché, sicché, tanto che, di modo che, che. Attenzione: Era così bella che (consecutiva) tutti la guardavano; ma: È bene che (= dichiarativa) tu parta ora
  • eccettuative: servono ad esprimere un concetto di eccettuazione: salvo, salvo che, fuorché, tranne che, ecc. 


CORRELATIVE

Congiungono due proposizioni che sono tra loro in correlazione: come ... così; tanto ... quanto; non solo ... ma anche; sebbene ... tuttavia; ecc.

Le locuzioni congiuntive, infine, sono congiunzioni formate da più parole, fuse insieme o disgiunte: nondimeno, perciò, per la qual cosa, finché, fintanto che, ogni qual volta, di modo che, nonostante che, ecc.

 

 

8. PREPOSIZIONE

È la parte invariabile del discorso che si "prepone" al nome o al pronome per esprimere una relazione di dipendenza tra due termini di una stessa proposizione (Vado a Roma; Vengo da lontano; Guardare in cielo). Si distinguono in: 1) Proprie e 2) Improprie. 

1) Proprie

Sono: di, a, da, in, con, su, per, fra, tra, verso. Possono restare così, cioè semplici, o unirsi ad un articolo, diventando articolate:

semplici   articolate
a           al agli ai allo alla alle
da          dal dagli dai dallo dalla dalle
di          del degli dei dello della delle
in          nel negli nei nello nella nelle
su          sul sugli sui sullo sulla sulle


2) Improprie

Sono nomi, avverbi, aggettivi, verbi usati in funzione di proposizione. Es.: causa la pioggia; duranteil concerto; vicino a te; soprala casa; oltreil monte; senza paura; contro il muro; ecc. 

Le locuzioni prepositive nascono invece dall'unione:

  • di due preposizioni fra loro: su di noi; fra di loro, ecc.;
  • di un sostantivo con una preposizione: in mezzo a; in luogo di; in vece di; per causa di; per mezzo di; a dispetto; ecc.;
  • di un avverbio o modo avverbiale con una preposizione: al di là di; di qua da; di dietro a; accanto a; fino a; insieme con; all'infuori di; ecc.

 

 

9. INTERIEZIONE

È la parte invariabile del discorso che serve a esprimere un sentimento di meraviglia, noia, dolore, ecc. Attenzione però: non sono interiezioni le imitazioni di suoni o versi, cioè le onomatopee: din don, bau bau, tic tac, ecc.

Le interiezioni, o esclamazioni, si possono dividere in: semplici e composte.

  • Semplici: ah, eh, ih, oh, uh; ahi, ehi, ohi; auff, uhm; mah, boh; ecc. La lettera h ha lo scopo di indicare il prolungato suono della vocale (oh = oooo; ah = aaaa) sia di distinguerle da altri monosillabi (ah - a; oh - o, ecc.). 
  • Composte: ohimé, ahimé, orsù, suvvia, ecc.