1. ARTICOLO
È la parte variabile
del discorso che si mette davanti al nome per precisare il genere e il
numero (il lupo, la lupa, i lupi,
le lupe). Può essere di due specie: determinativo quando
indica una cosa in particolare (il lupo), indeterminativo
quando è generale (un lupo).
determinativo maschile singolare: il, lo femminile singolare:la
maschile plurale: i, gli femminile plurale: le
indeterminativo maschile singolare: un, uno femminile singolare: una
Il plurale
dell'articolo indeterminativo non esiste. Si usano le preposizioni
articolate dei, degli, delle per indicare nomi plurali indeterminati:
(voglio delle mele; cerco dei soldi...) In questo caso le
preposizioni diventano articoli; si chiamano articoli partitivi.
È
bene ricordare che:
-
Si usano gli articoli lo, gli, uno davanti alle
parole che iniziano con:
-
L'articolo indeterminativo un non si apostrofa mai davanti a un
nome maschile iniziante con vocale. Quindi: un uomo, (mai
un'uomo);
e anche: nessun uomo, qualcun altro,
ecc.
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2. NOME
Il
nome è una parola che indica qualsiasi cosa o essere vivente, reale o immaginario.
I nomi, o
sostantivi, si distinguono in base: al
GENERE, al NUMERO, all'ESTENSIONE,
alla QUALITA' ed alla
STRUTTURA.
a)
GENERE
i nomi italiani possono essere soltanto maschili o femminili.
La maggior parte dei nomi appartiene solo a uno dei 2 generi (La casa, la
città, il pane, il cielo). Altri nomi hanno sia il maschile che il femminile
e spesso il passaggio da una forma all'altra è facile: basta cambiare la vocale
terminale per ottenere il cambio di genere: bimbo
/ bimba;
zio / zia, ecc.
Ma lettore diventa
lettrice,
poeta diventa poetessa,
e vigile rimane
vigile. Allora è necessario esaminare alcuni gruppi di nomi
particolari:
- ci
sono nomi di genere femminile che possono essere usati anche riferiti ai
maschi (spia,
guida, guardia,
staffetta, ecc.).
-
Soprano e contralto, invece, sono
di genere maschile ma indicano qualità vocali femminili.
- Nomi
di genere promiscuo: hanno una sola forma tanto per designare il maschile quanto
il femminile. In gran parte sono nomi di animali:
pantera,
corvo,
leopardo,
falco,....
-
Nomi di genere comune:
sono nomi che hanno un'unica forma per il maschile e il femminile, e per
distinguerli si deve guardare l'articolo: un
artista, un'artista;
il preside, la preside; il nipote, la
nipote; un insegnante,
un'insegnante; .....
-
Nomi indipendenti:
sono nomi che hanno due forme nettamente diverse per i due generi:
uomo/donna;
maschio/femmina;
marito/moglie;
padre/madre;
celibe/nubile; bue/mucca;
montone/pecora....;
- In
genere, i nomi di professioni e titoli che finiscono in -e, fanno
il femminile con -essa (dottore/dottoressa); altri nomi che,
al maschile terminano con -tore, al femminile adottano -trice (scrittore/scrittrice)
b) NUMERO
I nomi possono essere al
singolare (luce) o al plurale (luci).
In generale la regola per la formazione del plurale è la seguente: i nomi
formano il plurale con la -i, ad eccezione dei nomi femminili che
terminano con -a al singolare perché formano il plurale con la
desinenza -e (casa - case)
Ma ci sono alcuni gruppi di nomi particolari.
-
invariabili:
sono i nomi che hanno la stessa forma sia per il singolare che per il
plurale: la/le
virtù, la/le
analisi, il/i
falò, la/le
gru, il/i
re, ecc.
-
difettivi:
sono i nomi che mancano del singolare (nozze,
viveri,
pantaloni, ferie, ecc.) o del
plurale (buio, fame, pepe, ecc.).
-
sovrabbondanti:
sono i nomi che hanno due plurali (cuoio
: cuoi,
cuoia), spesso con significato diverso. Ad esempio:
ciglio (cigli
= i cigli della strada; ciglia
= le ciglia degli occhi); dito (diti
= i diti indici, dita = le dita
di una mano), osso
(ossi = gli ossi per il cane,
ossa = le ossa del corpo), ecc.
Alcuni nomi variabili formano il plurale in
modo particolare:
-
Plurale dei nomi in
-cia
e
-gia.
In generale, se davanti a -cia o -gia c'è una vocale, allora il plurale
conserva la i e si fa con -cie o -gie
(farmacia, farmacie - valigia,
valigie). Se -cia e -gia sono precedute da una
consonante, la
i scompare (faccia,
facce - pioggia, piogge)
-
Plurale dei nomi in
-io.
Le parole con l'accento tonico sulla
-ì (zìo,
pigolìo, ecc.) aggiungono regolarmente al plurale la
desinenza i (zii, pigolii).
Quelle dove la -i non è accentata formano il plurale eliminando la -o:
lo studio, gli studi
- il vizio
-> i vizi. La doppia i (ii)
rimane solo in quei casi in
cui è possibile un equivoco: principio ->
principii (per distinguerlo da
prìncipi, plurale di
principe);
omicidio -> omicidii (per
distinguerlo da omicidi, plurale di
omicida);
arbitrio -> arbitrii (per
distinguerlo da àrbitri, plurale di
arbitro).
-
Plurale dei nomi in
-co
e
-go.
Non esiste una regola universale:
affresco, affreschi ma anche
medico, medici;
borgo ->
borghi ma anche
psicologo, psicologi;
c)
ESTENSIONE
In base a ciò che
indicano i nomi possono essere comuni o propri, oppure
individuali o collettivi.
Quando indicano una
realtà unica, ben precisa i nomi sono propri:
Italia, Marco, Roma... Se si riferiscono a cose o esseri che hanno
caratteristiche comuni a più individui, sono comuni:
cane (ce ne sono tanti...),
casa, nazione...
I nomi collettivi
indicano una realtà formata da più individui dello stesso gruppo:
folla (= tante persone),
foresta (=insieme di tanti alberi); quelli individuali
indicano una singola realtà: aria, pane, auto...
d) QUALITA'
Il nome concreto si
riferisce a realtà appartenente al mondo sensibile (si può vedere, toccare,
sentire...): rumore, valle, gas.. Il nome
astratto è il frutto di una astrazione, è un concetto:
libertà, umanità...
Non
sempre la distinzione è facile...
e) STRUTTURA
I nomi che non derivano
da altri ma che, anzi vengono utilizzati per formarne altri, sono detto
primitivi: sale, pasta, luce..
I nomi derivati sono
invece quelli che nascono da altri nomi: sal-e -->
sal-ariato e sal-ario
I nomi alterati sono
quelli ottenuti con l'aggiunta di suffissi che modificano un po' il
significato del nome: tazz-a, tazz-ina, tazz-ona; libr-o, libr-accio,
libr-one, libr-icino...
I nomi composti sono
quelli che nascono dall'unione di più parole:
bianconeri, palcoscenico, pescespada...
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3. AGGETTIVO
È la parte variabile
del discorso che si aggiunge al nome per indicare una qualità, per
caratterizzarlo o determinarlo.
L'aggettivo concorda in genere e numero con
il nome al quale si riferisce (rose bianche,
luna nuova...).
In base all'informazione aggiuntiva che
forniscono al nome, essi si distinguono in qualificativi e
determinativi.
a) AGGETTIVI
QUALIFICATIVI
Sono gli aggettivi
che aggiungono al nome una qualità: alto,
basso, simpatico, magnifico, ecc. Hanno un
maschile e un femminile, un singolare e un plurale. Alcuni aggettivi hanno una sola forma
per entrambi i generi (un cane docile;
una cagna docile); altri hanno la
stessa forma per singolare e plurale (una perla
rosa, due perle
rosa); gli aggettivi invariabili
hanno addirittura una sola forma sia per i due generi che per i due numeri (la
camicia marrone, il fiore
marrone, le porte
marrone, gli astucci
marrone).
Un aggettivo
qualificativo può essere usato con tre diverse gradazioni; può essere di
grado positivo, comparativo o superlativo.
-
Positivo:
un aggettivo è di grado positivo quando esprime soltanto una qualità,
senza metterla a confronto con nessun altro termine: Il cielo è
sereno.
-
Comparativo:
un aggettivo è di grado comparativo quando esprime una qualità stabilendo
un paragone, un confronto con un altro termine.
- Può
essere di: maggioranza (Marco è più
alto di Gianni); minoranza (Marco
è meno giovane di Gianni); uguaglianza (Marco
è giovane come
(quanto) Gianni).
-
Superlativo:
un aggettivo è di grado superlativo quando esprime una qualità spinta al
massimo grado, sia in senso positivo che negativo. Può essere:
-
Assoluto:
quando esprime il grado massimo senza alcun paragone, e si ottiene
aggiungendo il suffisso -issimo all'aggettivo (Gianni è
brav-issimo).
Ci sono alcune eccezioni che vogliono il suffisso
-errimo (celeberrimo,
acerrimo,
miserrimo, ecc);
-
Relativo:
quando esprime il grado massimo di qualità ma attraverso un confronto. Può a sua volta essere di: maggioranza (Gianni
è il più gentile dei maschi); minoranza (Gianni
è il meno gentile dei maschi).
b)
AGGETTIVI
DETERMINATIVI
Gli
aggettivi determinativi aggiungono al nome una particolare determinazione o
specificazione o precisazione. Ce ne sono di 5 tipi: possessivi,
dimostrativi, numerali, indefiniti e interrogativi/esclamativi.
-
possessivi: indicano il possesso di ciò che è espresso col nome;
mio, tuo,
suo, nostro, vostro, loro; altrui,
proprio;
-
dimostrativi (detti anche indicativi): determinano dove si trova la cosa
indicata
dal nome in rapporto a chi parla: questo, quello;
codesto; ma anche: stesso,
medesimo; tale, quale, siffatto, certo...;
-
i numerali si distinguono in:
- cardinali che
indicano
una quantità precisa di persone o cose: uno,
sette, dieci, centocinque, mille.....;
- ordinali che
indicano l'ordine di successione:
primo, terzo, centotrentunesimo.....;
- altri aggettivi
numerali sono i moltiplicativi:
doppio, triplo...;
e i frazionari: due terzi, cinque ottavi.....
-
indefiniti: indicano una quantità indefinita di persone
o cose: alcuno, altro, qualsiasi,
qualunque, alquanto, altrettanto,
molto, poco, tanto, parecchio, troppo, tutto,
ciascuno, nessuno, ogni,....
- interrogativi/esclamativi:
introducono la domanda o l'esclamazione legata al nome al quale si
riferiscono; quale film hai visto?
Quanti soldi hai speso?
Che ragazza!
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4. PRONOME
È la parte variabile
del discorso che si usa per sostituire un nome (o altro). I pronomi possono essere: 1)
Personali; 2) Possessivi; 3) Dimostrativi; 4) Relativi; 5) Indefiniti
1)
Personali
Sono i pronomi che si
usano invece del nome, proprio o comune, di persona. Possono avere valore di
soggetto o complemento, possono cioè indicare: a) la persona che
parla; b) la persona a cui si parla; c) la persona di cui si
parla.
soggetto
|
complemento |
io |
me, mi |
tu |
te, ti |
egli, esso |
lui, lo, gli, sé, si |
ella, lei |
lei, la, le, sé, si |
noi |
noi, ce, ci |
voi |
voi, ve, vi |
essi |
loro, li, sé, si |
esse |
loro, le, sé, si |
i
Esaminiamo ora alcune particolarità dei pronomi personali.
-
Io
e tu si usano come soggetto, quindi: Tu
parli con Maria?
(NON: Te parli con Maria?); me e te invece quando si
usano come complemento oggetto si uniscono al verbo senza preposizione (Vogliono
me, NON: Vogliono a me).
-
Gli
significa "a lui", ma oggi si usa spesso anche nel senso di "a loro" (Se
ti parlano non gli rispondere), ma è preferibile
usare loro (Parlò coi suoi amici e chiese
loro se avevano incontrato Maria). È un
grave errore
usare gli al posto di le (A Giulia piace la danza? No,
non le piace - guai a dire: No,
non gli piace!)
-
Gli accoppiato alle
particelle lo, la, le, li, ne dà
origine a: glielo, gliela, gliele, glieli,
gliene.
-
Sé
si scrive con l'accento per distinguerlo da se congiunzione.
-
La particella pronominali ne significa: di lui, di lei, di loro, di
questo, di ciò.
2)
Possessivi
Sono i pronomi che
indicano proprietà, possesso; e sono gli stessi aggettivi possessivi: mio,
tuo, suo, nostro, vostro, loro, altri,
proprio, usati però invece del nome. Esempio: Dammi il mio
libro (qui mio è aggettivo possessivo perché specifica una
caratteristica del libro); Prendi il tuo libro e dammi il mio
(qui mio è pronome perché sta al posto del sostantivo libro).
3)
Dimostrativi
Sono i pronomi che
mostrano, indicano una persona o una cosa: questo, codesto,
quello; stesso, medesimo; tale, quale;
siffatto; questi, quegli (in funzione di soggetto e
riferiti a persona: questi mi piace,quegli no);
costui, costei, costoro; colui, colei,
coloro; lo (in funzione di complemento oggetto: Tu non sei
lo stesso di una volta); ne (nei complementi di
specificazione: Ne vuoi ancora?); ci (nei complementi
di termine: Non ci badare; Non farci
caso).
4)
Relativi
Sono i pronomi che
mettono in relazione fra loro due proposizioni: il quale (e: i
quali, la quale, le quali), che, chi, cui.
È bene ricordare che:
-
Che,
chi, quale, quando vengono usati nelle interrogazioni
(dirette e indirette) e nelle esclamazioni al posto del nome diventano
pronomi interrogativi ed esclamativi (Chi dubita di me?
Che volete dire? Vorrei sapere quali preferisci.
Chi si vede!)
-
Che
si usa sempre con valore di soggetto (L'uomo che ti parla)
o di complemento oggetto (Il libro che hai letto). È
sostituito da cui negli altri complementi, ma può essere usato, in
questi casi, quando assume il valore di: ciò, la qual cosa (Mario
disse una cosa, al che io risposi...) o allorché ha
valore di quando (L'anno che nacque Leopardi =
L'anno in cui nacque Leopardi)
-
Cui
si usa sempre con valore di complemento (Il libro di cui
ti ho parlato). Inoltre:
-
nel complemento di
termine, cioè nella forma: a cui, la a si può tralasciare
(La persona cuimi rivolsi = La persona a
cui mi rivolsi);
-
nel complemento di
specificazione, cioè nella forma: di cui, il di si
tralascia quando lo facciamo precedere dall'articolo (Questo è il
ragazzo il cui padre..., NON: Questo è il ragazzo
il di cui padre...);
-
è errato usare
cui nel significato di che, la qual cosa, formando il
costrutto: per cui (Era stato promosso e per questo era
contento, NON: Era stato promosso per cui era contento).
5)
Indefiniti
Sono i pronomi che
indicano persone o cose in maniera indefinita, indeterminata. Sono in gran
parte aggettivi indefiniti usati al posto del nome:
Aggettivo
Pronome
alcuni
alberi alcuni ridono
gli altri
libri dillo agli altri
molti
quaderni ce ne sono molti
nessun
uomo non vedo nessuno
A
questi possiamo aggiungere: uno, qualunque, ognuno,
certuni, chiunque, altri (Altri penserà che io
non dica il vero), niente (Niente lo commuove),
nulla (Non me ne importa nulla).
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5. VERBO
È la parte variabile
del discorso che esprime un agire nel tempo, o un subire, ma anche un modo
di essere o una situazione.
a)
TEMPI E MODI VERBALI
Il verbo è la parte
più "flessibile" del linguaggio. Infatti deve esprimere tanti modi diversi
di agire e tante situazioni. Una parte del verbo, la prima, resta però
sempre uguale (è la radice); a cambiare è la seconda parte (la
desinenza). Es: Cantare:
Cant = radice, are
= desinenza.
La desinenza può
cambiare in base a 4 variabili. Esse sono:
-
la PERSONA:
La prima persona indica chi parla (io,
noi); la seconda persona a chi si parla (tu,
voi); la terza persona di chi si parla (egli,
loro).
-
il NUMERO:
Può essere singolare (io, tu, egli)
o plurale (noi, voi, essi).
-
il TEMPO:
Indica il tempo passato, presente o futuro in cui l'azione è accaduta,
accade o accadrà. Ci sono tempi semplici e composti.
-
I tempi semplici
sono quelli formati solo da una sola parola, la voce verbale.
-
I tempi composti
sono quelli formati con l'"ausilio", l'aiuto, degli ausiliari essere
o avere, più il participio passato del verbo.
-
il MODO:
Indica la maniera, il "modo", il punto di vista in cui l'azione del verbo
viene espressa. Ci sono quattro modi finiti, cioè che esprimono
l'azione in maniera determinata, indicando numero e persona:
indicativo, congiuntivo, condizionale, imperativo; e tre modi
indefiniti, cioè che esprimono l'azione senza distinguere la
persona: infinito, participio, gerundio.
-
I 4 modi finiti:
-
Indicativo:
è il modo della certezza: Parlo
con Luca (= è certo che ci parlo);
-
Congiuntivo:
è il modo della probabilità: Penso che lui
voglia un gelato (= probabilmente lui vuole un gelato, ma
non è sicuro);
-
Condizionale:
il modo indica che un'azione si verfica a una condizione, cioè solo se
succede qualcos'altro : Se tu mangiassi di
più, saresti meno magro (= sarai meno magro solo SE
mangerai di più);
-
Imperativo:
è il modo che si usa per dare un ordine, o per esortare, minacciare,
pregare... : Alzati!;
Sii gentile..; Per piacere,
non parlate.... Ha solo la 2° persona
singolare e plurale, perché un comando può essere dato solo ad altri.
Tuttavia può esserci un imperativo nella 1° persona plurale:
Ora, partiamo!. Alla 3a persona
non ci si rivolge con ordini ma con desideri, perciò non si usa
l'imperativo ma il congiuntivo: Cerchi
nell'altra stanza, per favore;
-
I 3 modi Indefiniti
-
Infinito:
è il modo che esprime il significato in maniera generica, senza
specificare né il numero né la persona:
cantare; ballare...
-
Participio:
è detto così perché è partecipe di più realtà grammaticali,
insomma ha una doppia natura. Il verbo al modo participio è sia verbo
che aggettivo o sostantivo.
-
Il participio
passato è molto usato e può avere la triplice funzione di verbo,
aggettivo, nome: Ho rotto il
computer (verbo); Ho trovato solo
rane morte (aggettivo); Il
morto aveva gli occhi aperti (nome). Il participio
passato, unito al verbo ausiliare forma i tempi composti.
-
Il participio
presente è usato soprattutto per formare aggettivi
(luna calante, luna crescente)
e, più raramente, nomi (ente -
dal verbo essere -).
-
Gerundio:
è il modo che esprime l'azione come riferita a un'altra azione,
espressa o sottintesa: Sbagliando
(presente) s'impara;
Avendo mangiato (passato)
troppo, mi sentii male. Anche il
gerundio, come il participio, può usarsi "assolutamente":
Tempo permettendo, partirò.
Tutti i verbi della lingua italiana sono suddivisi in tre coniugazioni sulla
base della desinenza dell'infinito presente: -are = 1a coniugazione;
-ere = 2a coniugazione; -ire = 3a coniugazione. Vediamo ora le
particolarità di ciascuna coniugazione.
1a
coniugazione
-
I verbi con l'infinito in -care e
-gare per mantenere alla
c e alla g
il suono gutturale, cioè duro, mettono una h
davanti alla desinenza che inizia per i o
e: mancare
=> mancherò;
pagare => pagherete,
paghino.
-
I verbi con l'infinito in -ciare, -giare,
-sciare, perdono la i della radice
quando questa viene a trovarsi davanti a desinenze che iniziano con
e o con i,
e questo perché la i di
-ciare, -giare, -sciare è un puro segno
ortografico per dare alla c e alla
g della radice il suono palatale. Perciò:
baciare=>bacio,
baciarono, ma:bacerete, NON: bacierete;
mangiare=>mangio,
mangiano, ma: mangereste, e NON:
mangiereste; lasciare=>lascio,
lasciate, ma: lascerai, e NON:
lascierai.
-
I verbi con l'infinito in -gliare perdono
la i della radice (vegli-are,
sbagli-are) davanti alle desinenze inizianti con
i. Perciò:
sbagliare=>sbagl-iamo, NON:
sbagli-iamo; vegliare=>vegl-iamo,
NON: vegli-iamo.
-
I verbi con l'infinito in -gnare
conservano la i della desinenza in
-iamo e -iate.
Perciò: noi sogn-iamo,
che noi sogn-iamo,
che voi sogn-iate.
-
I verbi con la 1a persona singolare dell'indicativo presente in
-ìo (cioè con la
i tonica, ad es.: io avvio)
conservano sempre la i della radice anche
quando questa perde l'accento: avviare
=> avvio, avviano, avvieranno,
ecc. La perdono invece sempre davanti alle desinenze inizianti con
i, quando la i
della radice non è accentata: voi avvi-ate,
ma:che voi avv-iate.
-
I verbi con la 1a persona singolare dell'indicativo presente in
-io (cioè con la
i àtona, ad es.: io graffio)
perdono sempre la i della radice davanti a
desinenze inizianti con i:io
graffi-o, ma: che essi
graff-ino;io studi-o, ma:
che essi stud-ino.
2a coniugazione
-
I verbi con l'infinito in -cere e
-gere, davanti alle desinenze con
a o con o
cambiano la c e la
g dolce in gutturale:
tu vinci, noi
vinceremo, ma: io vinco,
che tu vinca; tu
spingi, noi spingiamo, ma:
io spingo, che tu
spinga. Fanno eccezione i verbi cuocere
e nuocere che conservano sempre la
i palatale: io
cuocio, che tu cuocia.
-
I verbi con l'infinito in -gnere (così
come quelli della 1a coniugazione in -gnare)
conservano la i della desinenza in
-iamo e -iate:
noi spegn-iamo,
che noi spegn-iamo,
che voi spegn-iate.
3a coniugazione
-
Molti verbi di questa coniugazione inseriscono tra la radice e la
desinenza della 1a, 2a e 3a persona singolare e della 3a plurale del
presente indicativo, congiuntivo e imperativo, il gruppo
-isc (ardire=>ard-isc-o,
ard-isc-i,
ard-isc-ono). Alcuni verbi hanno entrambe le forme:
aborro / aborrisco;
inghiotto / inghiottisco, ecc.
-
Alcuni verbi di questa coniugazione hanno un doppio participio presente:
in -ente e in
-iente: dormente / dormiente, ecc.
b)
VERBI TRANSITIVI,
VERBI INTRANSITIVI
Dal punto di vista
del significato i verbi possono essere 1) transitivi o 2)
intransitivi.
1) Verbi
transitivi
Sono verbi che
esprimono un'azione che passa direttamente dal soggetto all'oggetto:
Marco (soggetto)
legge (verbo transitivo) un libro
(complemento oggetto). Il complemento oggetto a volte può mancare ma il
verbo rimane transitivo: Mario legge. Un
verbo transitivo può essere: attivo, passivo, riflessivo.
-
Il verbo è attivo quando il soggetto "agisce", compie l'azione:
Luigi ama.
-
Il verbo è passivo quando il soggetto "patisce", subisce l'azione:
Luigi è amato. Un verbo attivo si può
rendere passivo in due modi:
-
mettendo prima del
participio passato del verbo le voci dell'ausiliare essere (o,
qualche volta, venire): Io amo
(attivo) => Io sono amato (passivo);
Io lodo => Io
sono o Io vengo lodato;
-
mettendo prima del
verbo (ma solo nella terza persona singolare e plurale) la particella
pronominale si:
Da parte di tutti si biasima (cioè: è biasimata, viene
biasimata) la tua negligenza. In
questo caso il si prende il nome di
"particella passivante".
Ogni proposizione
attiva può trasformarsi in passiva tramutando l'oggetto in soggetto:
Carlo ama Maria (forma attiva) =>
Maria è amata da Carlo (forma passiva);
e viceversa naturalmente.
-
Il verbo è riflessivo quando l'azione compiuta dal soggetto si
"riflette", cioè ricade, sul soggetto stesso:
Luigi si loda (cioè: Luigi loda se stesso). La forma
riflessiva di un verbo transitivo si ottiene mettendo prima del
verbo le particelle pronominali mi, ti, si, ci
vi, si, con funzione di complemento oggetto:
attiva
io lavo
tu lavi
egli lava
passiva
io mi
lavo (=io lavo
me)
tu ti
lavi (=tu lavi
te)
egli si
lava (=egli lava
sé)
Le particelle
pronominali si mettono invece dopo, fondendole col verbo,
nell'imperativo presente (làvati),
nel gerundio (lavandoti),
nell'infinito (lavarti).
Si dice, inoltre,
riflessiva apparente quella forma in cui le particelle
mi, ti, si, ecc. non hanno funzione di
complemento oggetto ma di complemento di termine, non hanno cioè il valore
di: me, te, sé, ecc. ma di: a me, a te, a sé, ecc. Ad esempio:
-
Io mi
lavo: qui
mi ha valore d'oggetto (=io
lavo me) e la forma è riflessiva;
-
Io mi
lavo le mani:
qui mi ha valore di complemento
di termine (=io lavo le mani a me) e la forma è riflessiva
apparente.
2) Verbi intransitivi
Sono quelli che
esprimono un'azione che non passa a un oggetto ma resta ferma nel soggetto:
Mario corre; Il sole brilla; Il cane abbaia.
È bene ricordare che:
-
i verbi intransitivi hanno solo la forma attiva;
-
alcuni verbi di natura intransitiva possono assumere anche un valore
transitivo: Carla piange (intr.) /
Carla piange lacrime amare (trans.);
-
alcuni verbi intransitivi, pur essendo accompagnati dalle particelle
pronominali mi, ti, si, ecc., non sono
riflessivi: si dicono intransitivi pronominali (vergognarsi,
pentirsi, lamentarsi, accorgersi, ecc.). Perciò le frasi:
Io mi vergogno, Tu ti lamenti, Egli si adira,
ecc. non sono riflessive ma intransitive pronominali. Per poter
distinguere con certezza una forma riflessiva da una pronominale basta
tener presente che nella forma riflessiva le particelle
mi, ti, si, ecc., si possono sostituire
con i pronomi me, te, se, ecc., cosa che
non è invece possibile nella forma intransitiva pronominale. Così, ad
esempio, se diciamo: Io mi bagno, possiamo
trasformare la frase in: Io bagno me; se
invece diciamo: Io mi vergogno, non posso
trasformarla in: Io vergogno me, e si
tratta quindi di una forma intransitiva pronominale.
Una
speciale categoria di intransitivi, infine, è quella dei cosiddetti verbi
impersonali, che indicano condizioni atmosferiche, e che si usano
prevalentemente alla 3a persona singolare: annotta,
albeggiava, piove, nevicherà, ecc. Ma possono essere usati
impersonalmente anche altri verbi (come: accadere,
succedere, bastare, bisognare, occorrere, importare, parere, ecc.)
unendoli alle particelle pronominali mi, ti, si,
ci, vi, gli, le. Es.: Mi succede ogni
giorno; Non bisogna farlo; Non gli importa nulla. Ci sono infine
verbi impersonali che possono, in certi casi, divenire personali:
Fioccano quattrini; Piovono legnate; Tuona il
cannone.
c) FORMA
VERBALE
Abbiamo già visto che
il verbo è costituito da due parti: una, immutabile, che si chiama radice;
e una che cambia secondo i modi, i tempi, le persone e i numeri, e si chiama
desinenza. I verbi che rispettano questo schema si dicono regolari,
e sono la maggioranza; ma ci sono anche verbi che si discostano da questa
norma e sono detti irregolari.
Verbi regolari
Caratteristica di
questi verbi è che nel passato remoto e al participio passato l'accento
tonico non cade sulla radice ma sulla desinenza:
am-ài, cred-èi (o
cred-ètti),
serv-ìi; am-àto,
cred-ùto,
serv-ìto.
Verbi irregolari
Si dividono in 3
gruppi:
-
forti:
sono irregolari solo nel passato remoto (1a e 3a persona singolare e 3a
plurale) e nel participio passato. Appartengono quasi tutti alla 2a
coniugazione. Es.:
ardere:
io arsi, egli arse, essi arsero;
participio passato: arso;
dividere:
io divisi, egli divise, essi divisero;
participio passato: diviso;
mettere:
io misi, egli mise, essi misero;
participio passato: messo;
nascondere:
io nascosi, egli nascose, essi nascosero;
participio passato: nascosto;
ecc.
-
anomali:
traggono le loro forme verbali da temi diversi o alterati dalla
coniugazione. Es.: andare: io vado;
dare: io diedi;
cadere: io cadrei;
sedere: io mi siedo, o: io mi
seggo; potere: io posso, io potrò;
dovere:io devo, o: io debbo;
cuocere: cotto;
morire: io muoio;
salire: io salgo; ecc.
-
difettivi:
"difettano", cioè mancano di alcune forme nelle persone, nei modi, nei
tempi. Es.: competere (non ha participio
passato e quindi manca di tutti i tempi composti);
solere; ecc.
Ricordiamo infine cinque verbi che possono essere usati in modo particolare:
due Ausiliari e tre Servili.
Ausiliari:
si dicono "ausiliari" i verbi essere e
avere quando aiutano gli altri verbi a
formare i tempi composti: Ho
mangiato un panino; Sono
andato a casa. Vogliono l'ausiliare avere
i verbi transitivi attivi (Ho
mangiato una mela,
Lo avevo visto); vogliono l'ausiliare
essere i verbi nella forma passiva (Io
sono amato; Siamo
stati serviti subito). I verbi intransitivi possono avere l'uno o
l'altro ausiliare. I verbi che indicano le condizioni atmosferiche
richiedono in genere essere (È piovuto) ma
possono concordare anche con avere (Ha
appena smesso di piovere).
Servili:
sono detti così i tre verbi: dovere, potere, volere
quando sono usati al servizio dell'infinito di un altro verbo:
Devo andare;
Non posso dormire;
Voglio mangiare.
Attenzione: nei tempi composti i verbi servili vogliono, di regola,
l'ausiliare del verbo che essi "servono": Sono
dovuto andare (perché:
sono andato);
Saresti potuto venire (perché:
sono venuto);
Abbiamo voluto dirtelo (perché:
abbiamo detto).
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6. AVVERBIO
È quella parte del
discorso che si unisce al verbo, ma anche all'aggettivo, al nome o ad un
altro avverbio, per modificarne, graduarne, completarne, precisarne l'azione
o il significato. Si possono classificare gli avverbi in 8 gruppi.
-
di modo o maniera:
rispondono alla domanda sottintesa: "come?". Sono:
-
gli avverbi in
-mente, formati dalla fusione di un aggettivo con l'ablativo latino
mente (=con mente). Es.: celermente, dal latino celeri
mente, alla lettera: "con mente celere". E così: distrattamente,
lentamente, veramente, ecc.;
-
gli avverbi formati
da un aggettivo invariabile: forte, piano, giusto, certo, ecc.
-
gli avverbi di
derivazione latina: bene, male, ecc.;
-
gli avverbi derivati
da forme verbali o da nomi, col suffisso -oni: bocconi,
ruzzoloni, carponi, tastoni, cavalcioni,
ecc.
-
di tempo:
rispondono alla domanda sottintesa: "quando?". Sono: ora, adesso,
allora, ancora, prima, dopo, oggi, domani, spesso, mai, sempre, presto,
tardi, ecc.
-
di luogo:
rispondono alla domanda sottintesa: "dove, da dove?". Sono: dove,
donde, sopra, sotto, vicino, lontano; qui, qua, quaggiù, quassù; lì, là,
laggiù, lassù; ecc.
-
di quantità`:
rispondono alla domanda sottintesa: "quanto?". Sono: molto, assai,
poco, troppo, parecchio, abbastanza, niente, circa, appena, ecc.
-
di affermazione:
rispondono alla domanda sottintesa: "veramente?". Sono: sì, già ,
certo, appunto, sicuro, sissignore, proprio, ecc.
-
di negazione:
rispondono alla domanda sottintesa: "veramente?". Sono: no, non, né,
neppure, nemmeno, neanche, nossignore, ecc.
-
di dubbio:
rispondono alla domanda sottintesa: "davvero?". Sono: forse,
probabilmente, semmai, ecc.
-
aggiuntivi:
si dicono "aggiuntivi" perché aggiungono qualcosa al valore dell'azione.
Sono: anche, ancora, altresì, pure, perfino, finanche, ecc.
Ci
sono poi i modi avverbiali e le locuzioni avverbiali, che sono espressioni
variabili formate:
-
da due avverbi: or ora, pian piano, adagio adagio, ecc.
-
da due sostantivi: man mano, passo passo, terra terra, ecc.
-
da una preposizione + avverbio, aggettivo o sostantivo:
-
a + ... : a poco
a poco, a vicenda, a ufo, a gara, a malapena,
ecc.
-
di + ... : di
corsa, di soppiatto, di palo in frasca, di nascosto,
ecc.
-
in + ... : in
bilico, in panciolle, in un batter d'occhio, in
carne e ossa, ecc.
-
per + ... : per
caso, per davvero, per certo, per tempo, ecc.
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7. CONGIUNZIONE
È la parte
invariabile del discorso che serve a congiungere fra loro gli elementi di
una stessa proposizione (Giulio e Carlo vanno a scuola)
o due proposizioni (Giulio va a scuola e Carlo rimane a
casa). Le congiunzioni si possono classificare in: COORDINATIVE,
SUBORDINATIVE, CORRELATIVE.
COORDINATIVE
Congiungono due
proposizioni simili o due parti simili della stessa proposizione. Si
suddividono a loro volta in:
-
copulative:
uniscono fra loro due o più termini: e (affermativa); né,
neppure, neanche, nemmeno (negative).
-
disgiuntive:
separano gli elementi della proposizione mettendoli a volte in contrasto:
o, oppure, ovvero.
-
avversative:
uniscono due termini opposti: ma, però, tuttavia,
peraltro, eppure, pure.
-
dimostrative:
dimostrano, spiegano, dichiarano meglio un concetto: cioè,
infatti, ossia, vale a dire.
-
conclusive:
uniscono due termini si cui il secondo è la conclusione del primo:
dunque, quindi, pertanto, ebbene, allora.
SUBORDINATIVE
Congiungono una
proposizione principale a una subordinata. Es.: Ti loderei (princ.)
se tu lo meritassi (subord.); Poiché non mi stimi
(subord.) preferisco rompere l'amicizia (princ.). Si suddividono
in:
-
dichiarative:
servono a dichiarare, spiegare: come (Mi disse come
aveva fatto), che (È meglio che tu vada a casa).
Ma attenzione: Il libroche (= pronome) hai letto.
-
temporali. Servono a esprimere un rapporto di tempo: quando,
come, appena, mentre, finché, ecc.
-
causali:
servono a esprimere un rapporto di causa: perché, poiché,
giacché, siccome, dal momento che, ecc.
-
finali:
servono ad esprimere un rapporto di fine: affinché, perché.
Attenzione: Mi allontano perché(= causale) non mi piaci;
ma: Te lo dico perché (= finale) tu ne tragga profitto.
-
condizionali:
servono ad esprimere un rapporto di condizione: se, perché,
qualora, quando. Attenzione: Quando (= condizionale)
uno è onesto non deve temere nulla; ma: Vieni quando
(= temporale) vuoi.
-
modali:
servono ad esprimere un rapporto di modo, o di maniere: come,
come se, siccome, comunque, quasi, ecc.
Attenzione: Fa' come (= modale) ti pare; ma: Mi
raccontò come (= dichiarativa) fosse stato salvato.
-
consecutive:
servono ad esprimere un rapporto di conseguenza: cosicché,
sicché, tanto che, di modo che, che. Attenzione:
Era così bella che (consecutiva) tutti la guardavano;
ma: È bene che (= dichiarativa) tu parta ora.
-
eccettuative:
servono ad esprimere un concetto di eccettuazione: salvo, salvo
che, fuorché, tranne che, ecc.
CORRELATIVE
Congiungono due
proposizioni che sono tra loro in correlazione: come ... così;
tanto ... quanto; non solo ... ma anche; sebbene ... tuttavia;
ecc.
Le
locuzioni congiuntive, infine, sono congiunzioni formate da più
parole, fuse insieme o disgiunte: nondimeno, perciò, per la
qual cosa, finché, fintanto che, ogni qual volta,
di modo che, nonostante che, ecc.
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8. PREPOSIZIONE
È la parte
invariabile del discorso che si "prepone" al nome o al pronome per esprimere
una relazione di dipendenza tra due termini di una stessa proposizione (Vado
a Roma; Vengo da lontano; Guardare
in cielo). Si distinguono in: 1) Proprie e 2) Improprie.
1)
Proprie
Sono: di, a,
da, in, con, su, per, fra, tra,
verso. Possono restare così, cioè semplici, o unirsi ad un
articolo, diventando articolate:
semplici
articolate
a al agli ai
allo alla alle
da dal dagli
dai dallo dalla dalle
di del degli
dei dello della delle
in nel negli
nei nello nella nelle
su sul sugli
sui sullo sulla sulle
2)
Improprie
Sono nomi, avverbi,
aggettivi, verbi usati in funzione di proposizione. Es.: causa la
pioggia; duranteil concerto; vicino a te;
soprala casa; oltreil monte; senza paura;
contro il muro; ecc.
Le locuzioni
prepositive nascono invece dall'unione:
-
di due preposizioni fra loro: su di noi; fra di
loro, ecc.;
-
di un sostantivo con una preposizione: in mezzo a; in luogo di;
in vece di; per causa di; per mezzo di; a dispetto;
ecc.;
-
di un avverbio o modo avverbiale con una preposizione: al di là di;
di qua da; di dietro a; accanto a; fino a;
insieme con; all'infuori di; ecc.
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9. INTERIEZIONE
È la parte
invariabile del discorso che serve a esprimere un sentimento di meraviglia,
noia, dolore, ecc. Attenzione però: non sono interiezioni le imitazioni di
suoni o versi, cioè le onomatopee: din don,
bau bau, tic tac, ecc.
Le interiezioni, o
esclamazioni, si possono dividere in:
semplici e composte.
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Semplici:
ah, eh, ih, oh, uh;
ahi, ehi, ohi;
auff, uhm; mah, boh; ecc.
La lettera h ha lo scopo di
indicare il prolungato suono della vocale (oh
= oooo; ah = aaaa) sia di distinguerle da
altri monosillabi (ah - a; oh - o, ecc.).
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Composte:
ohimé, ahimé, orsù, suvvia, ecc.
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